Recensione di Giulia Minea Papaphilipou
IL SUPPLENTE
Ho letto, su indicazione di altri amici lettori,”Il
supplente” di Laura Vignali. Già avevo letto altre opere di questa scrittrice e
ne ero rimasta impressionata per la sua capacità di usare un tono (falsamente)
leggero per esprimere situazioni e sentimenti profondi, coinvolgenti e a volte
dolorosi.
Quando ho cominciato “Il supplente” era il primo
pomeriggio, convinta che, come sempre, dopo mezz’ora di lettura avrei ripreso
le mie sudate carte e il mio lavoro. Non è stato possibile, e non è la prima
volta che mi capita con i testi di questa scrittrice. Ho letto, letto, letto ed
ho interrotto solo perché ormai i miei occhi erano troppo stanchi ed impegni
inderogabili, la cena, mi chiamavano. E poi ho ripreso, in pratica senza più smettere.
Isa, Toni e Tilde sono diventate nella notte le mie
compagne di classe di tanti, tanti anni fa. Sono tornata con loro nei corridoi
dalle grandi finestre del mio Liceo, ho udito di nuovo il brusio, lo scalpiccio
veloce dei ritardatari e le porte di classe che sbattono. Ero lì con loro,
quasi fisicamente, senza un filtro che mi dicesse che questo non era possibile.
E poi ho sentito, come allora, che i dubbi, le paure delle tre amiche erano i
miei di allora: il primo confuso approccio all’amore e al sesso, visto con gli
occhi di giovani donne che già avevano usufruito della rivoluzione sessuale
operata con tanta fatica dalle sorelle maggiori. Sono Tilde, Toni e Isa ragazze
che non usano mezzi e mezzucci per essere vere donne, brave nello studio e nel rapporto con gli
altri, coraggiose, temerarie in amore. Anche loro compiono errori, e chi non ne
ha commessi ai tempi dorati della giovinezza, faccia un passo avanti …
Il Ciampi, visto prima con rapimento e stupore in
una scuola ingessata e vecchia da sempre, si rivelerà grazie a loro per quello
che veramente è: un uomo piccolo, piccolo, un ganimede invecchiato
collezionista di avventure e di feticci, ma solo, solo come un cane per non
aver costruito nulla di vero, al di là della sua indubbia capacità di studioso
di letteratura. Le sue avventure di letto, nemmeno esaltanti per la partner di
turno, sono lo specchio del suo animo superficiale ed egoista, mai attento a
chi ha di fronte. Solo dopo tanti anni e
un lungo e doloroso lavoro di ripensamento, le tre Grazie diventaranno Erinni, dispensatrici
di una giustizia che al momento giusto era mancata.
Su tutti si innalza la figura di Leone Hofer che,
come un tragico Aiace, si vendica con la sua morte delle offese subite. La sua
ricerca di cambiare la società non poteva non scontrarsi con la supponenza del
Ciampi e del suo ipocrita mondo piccolo borghese. In fondo al Ciampi, e non
dico mai professore perché non lo merita, era facile innalzare e distruggere
chiunque si trovasse sul suo cammino con la stessa leggerezza con cui si spara
nei tirassegni delle fiere paesane. Il
gesto estremo di Leone e la lettera dolce e tragica a Toni, e
aggiungerei al mondo intero, suonano come uno schiaffo e un avvertimento
proprio a quel mondo ancora chiuso ai cambiamenti che, si avvertiva, erano
ormai alle porte e non più rimandabili. Il Ciampi nella sua piccolezza umana
non poteva competere con un ragazzo che aveva nella sua risolutezza e nel suo
candido ottimismo di riuscire a fare qualcosa di buono, i segni del gigante, e
così usa la sua unica arma: la vendetta, la più meschina e la più vile. Leone
subisce il crollo delle sue speranze, perde l’anno scolastico e l’esame di
maturità, del tutto innocente senza però poterlo dimostrare in un ambiente
chiuso in se stesso e incapace di alzare lo sguardo verso l’altro.
Come non ricordare episodi, certamente meno tragici,
ma simili nel loro squallore, avvenuti in qualche classe del proprio Liceo? E
quanti Ciampi, anche in gonnella, c’erano e ci sono ancora a giro?
In questo senso il libro è esemplare, descrive un
mondo che non ha più tempo, ‘“allora” può essere anche “oggi”, se ascoltiamo
qualche alunno che abbia o abbia avuto
il coraggio di essere divergente
dalla mentalità richiesta in questo ambiente.
Niente sfugge all’autrice nel descrivere, nel far
sentire sulla pelle, il dolore e il bisogno di capire e capirsi delle tre
ragazze che poi sono, in un certo senso, tutte le ragazze del mondo di allora.
Toni mi è rimasta nel cuore più di tutte. I suoi
capelli rossi come una sfida, la sua determinazione, la sua famiglia disastrata
e poco amorevole, la fanno risaltare come una eroina. Isa e Tilde hanno una
famiglia, anche se con tanti difetti, ma sono in qualche modo protette, Toni
invece non ha paracadute. E chi proviene da una famiglia disastrata come la
sua, non può non sentirsi amica e sorella, anche nella forza che mette per
uscire da una situazione che potrebbe renderla rancorosa e cattiva. E Toni è
tutt’altro e lo dimostra.
E poi Marco Tullio, classico giovane letterato, di
buona famiglia, senza esperienza del mondo e soprattutto delle donne. Lui è
sempre tra le nuvole ed è Rosy la sua realtà, quella anche fisica, che lo riporta sulla Terra. Il
buonsenso di Rosy e la sua mancanza di stereotipi, spesso presenti in antichi
liceali, sono il lasciapassare per una vita vera, che, si intuisce, renderà
felice l’imbranato studioso.
Devo aggiungere altro per convincere altri lettori ad avvicinarsi a questo bel
romanzo?
Penso di no. Aggiungo anche un bravo all’autrice, e
un grazie per le emozioni, i ricordi, la
nostalgia di un tempo forse anche felice, per i moti dell’anima che con la sua
scrittura è riuscita a suscitare.
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