lunedì 30 giugno 2008

L’ ultimo Eurostar per Anna K.


L’ ultimo Eurostar per Anna K.

La luce del crepuscolo si rifletteva sul ferro rovente dei binari. La stazione di Vernio – Montepiano – Cantagallo era avvolta da una coltre di afa che sfumava laggiù in lontananza, verso l’imbocco della galleria, dove una leggera brezza scuoteva le chiome degli alberi protese sulla cavità oscura della montagna. Un odore acre di freni consumati si confondeva con l’umidità stantia, evocando immagini di viaggio perdute nel passato.

La giovane donna che sbucò timidamente dal cancello della stazione sembrava proprio una viaggiatrice di altri tempi. Indossava un abito chiaro di foggia ottocentesca e portava uno strano cappellino con la veletta di pizzo rialzata, che lasciava scoperti gli occhi straniti. Occhi profondi, intenti a scrutare le pensiline deserte con l’espressione smarrita di chi si ritrova in un mondo estraneo.

Dopo aver rivolto uno sguardo perplesso in direzione delle scale del sottopassaggio, si sedette finalmente su una panchina, a poca distanza dalla linea gialla che separava il marciapiede dalle rotaie.

I due uomini che arrivarono poco dopo, armati di telecamera e di macchina fotografica, la osservarono incuriositi, mentre tirava fuori da una borsa di seta rossa un libro elegantemente rilegato.

“Secondo te, quella viene da un set cinematografico o è fuggita da una clinica per malattie nervose?” , chiese ironicamente quello dei due che sembrava risentire di più del caldo torrido, almeno a giudicare dalle larghe chiazze di sudore che gli bagnavano la camicia da informatore scientifico in libera uscita .

Il suo compare, un noto medico della zona appassionato di modellismo ferroviario, era troppo intento a fotografare un carro soccorso giallo accantonato oltre i binari. Si limitò a rispondergli con un “bah … “ distratto. Ma subito dopo, non poté fare a meno di posare anche lui lo sguardo su quella figurina esile, che leggeva sulla panchina, tutta assorta in chissà quali pensieri.

L’amico attraversò il binario, incurante del vistoso cartello di divieto. Si rimboccò le maniche della camicia ed emise un sospiro liberatorio “ : Se non ci fosse il sabato pomeriggio per ritemprarsi un po’ in stazione, la mia esistenza sarebbe priva di senso ... Ieri è stata una giornata terrificante - sbuffò detergendosi con un fazzoletto di carta il sudore della fronte - ho visitato tredici medici di base e ogni volta che mi infilavo furtivamente nell’ambulatorio davanti a schiere di vecchietti in attesa, ho rischiato il linciaggio. Uno di questi giorni mando a quel paese il capoarea e tutta la Ditta, mi chiudo nel dopolavoro ferrovieri di Prato e mi lascio morire di inedia, contemplando il plastico della Direttissima. Almeno così finisco in bellezza …”

Smettila di fare il tragico ! Pensi forse che io mi diverta a lavorare? Però, quando vedo una 740, tutta nera e lucida , che sbuffa vapore , con quei respingenti che sembrano vivi … allora sento che, sì, vale la pena … Dai,spostati da lì, altrimenti , quando passa il merci, mi impedisci la visuale .” ribatté il dottore, lisciandosi voluttuosamente il baffo brizzolato, mentre cercava la postazione migliore per la videoripresa.

All’improvviso uno scalpiccio di sandali ruppe il silenzio, disturbato soltanto dal monotono frinire delle cicale e dallo scroscio dell’acqua del vicino Bisenzio . Due bambini in canottiera irruppero vociando sul marciapiede, seguiti da un giovanotto in bermuda che li apostrofò seccato: “ Duccio, Matteo … fatela finita!” Ma i due non sembravano intenzionati a obbedire. Il più piccolo, un biondino di circa tre anni, incominciò a girare correndo intorno alla panchina sulla quale sedeva la signora, tutta assorta nella lettura , visibilmente incurante del caldo . Ad un tratto il più grande dette una spinta al fratello e lo fece cadere per terra. Il bimbo incominciò a strillare, più di rabbia che di dolore, mentre l’altro rideva sguaiatamente.

La sconosciuta alzò lo sguardo, posò il libro sulla panchina e si chinò sul bimbo che piangeva. Poi allungò verso di lui una manina inguantata e lo carezzò sul viso con un gesto pietoso. L’uomo in bermuda sembrava furioso: “ Duccio , accidenti a te! Ecco, lo sapevo che gli facevi male … Vieni qui che ti sistemo io con un bel manrovescio .Così tu impari a dargli noia …” .

Matteo si rialzò , gratificato dall’appoggio paterno. Guardando spavaldamente il fratello con un sorrisetto vendicativo.

Frattanto la signora , con uno sguardo di indulgente tenerezza, si era nuovamente seduta, immergendosi nella lettura, simile ad un’ immobile statuina di gesso, di quelle che ornano, silenziose, i parchi di certe ville di campagna.

All’’improvviso, il suono ossessivo di un campanello interruppe la corsa dei bimbi. Matteo si portò le manine agli orecchi. Duccio tentò, invano, di fargli lo sgambetto ma il fratello lo evitò con una mossa fulminea. Così, il piede di Duccio andò a colpire il treppiedi che il fermodellista dal baffo brizzolato aveva puntigliosamente predisposto vicino al binario. Il rumore sordo del cavalletto, unito alla esclamazione irripetibile del proprietario, fu immediatamente sovrastato da una minacciosa voce metallica : “ Attenzione, treno in transito al binario 3 . Allontanarsi dalla linea gialla!”

La signora si alzò di scatto. Si guardò intorno come un automa e abbandonò il libro sulla panchina, accanto alla borsetta di seta rossa.

E fu in quell’istante che, laggiù in fondo, dal buco oscuro che si perdeva nella montagna, apparve il muso a forma di biscia di un treno grigio, con una striscia verde sulla fiancata. L’ETR 500 sfrecciò rapidissimo, senza fermarsi.

Mentre si dissolveva sui binari, ingoiato dal verde dei tigli, il fermodellista dal baffo brizzolato indicò all’amico il cappellino con la veletta di pizzo che rotolava sulla massicciata. L’informatore chiuse gli occhi per non guardare. Fu solo un attimo. Quando li riaprì non vide né sangue, né frammenti di vesti miste a pelle sparsi sulle rotaie . La signora pallida era scomparsa, come dissolta nell’aria che sapeva di ferro e di tiglio …

“ Ma dove è finita quella là? – si chiese il dottore.

Sulla panchina erano rimasti soltanto la borsa di seta rossa e il libro aperto all’ultima pagina. I due amici si avvicinarono timorosi. L’occhio curioso dell’informatore si posò subito sulle righe finali: “ E a un tratto, ricordando l’uomo schiacciato il giorno del suo primo incontro con Vrònskij, capì che cosa le restava da fare. Discesi con passo rapido e leggero i gradini che andavano dall’idrante alle rotaie, si fermò davanti al treno che le passava accanto. Guardò in basso i vagoni, le viti, i ferri, le alte ruote di ghisa … E la candela alla cui luce aveva letto un libro pieno di ansie, di inganni, di dolore e di male , avvampò di una luce più vivida che mai, le illuminò tutto quello che prima era oscurità, crepitò, cominciò a offuscarsi e si spense per sempre.”

Il dottore si lisciò il baffo, perplesso: “ Ma che diavolo leggeva?” e chiuse il volumetto per vedere il titolo.

“ Ah … gli fece eco l’informatore con aria saputa – si tratta di quel romanzone russo, ecco, sì … “Anna Karenina” , quella che viene piantata dall’amante e si butta sotto il treno. Se non sbaglio, ci hanno fatto anche un film con Greta Garbo … “

“Accidenti … - esclamò l’amico come colpito da un’idea assurda – ma allora quella donna …”

Nessuno dei due ebbe il coraggio di aggiungere altro. Si avviarono in silenzio verso l’uscita della stazione. Poco prima della galleria il semaforo rosso faceva la guardia, impassibile, al cappellino con la veletta di pizzo che si era andato a fermare proprio davanti al carro soccorso.

Le cicale continuavano nel loro assordante frinire, accompagnato soltanto dallo scroscio monotono del Bisenzio.