Una storia fiorentina
romanzo di Laura
Vignali
I
Valeria
parcheggia la Punto grigia nell’unico spazio all’ombra, là dove il viale si
allarga in una specie di piazzetta. Appena scesa, avverte subito una vampata di
calore umido che le toglie il respiro. Vorrebbe tornare indietro ma sa che non
può perché la sua non è solo una visita ma un rito. Un rito che è costretta a
officiare da vent’anni, ogni 7 di luglio.
Così, imbocca la via di S.
Leonardo, simile ad una biscia lucida e grigia che si snoda fra i muri di cinta
che proteggono i giardini delle ville immerse nel silenzio. Ville che sembrano
uscite dal pennello inquieto di un macchiaiolo toscano o dalla penna di un
dannunziano tardivo affascinato da quell’atmosfera insolita di estatica
immobilità.
Ogni volta che si presenta
all’appuntamento, Valeria si chiede per quanti anni ancora durerà questa penosa
rappresentazione. E si chiede anche se sia giusto continuare ad illudere una
vecchia signora, assecondandola nella sua tenera follia.
La villa di Fosca non è lontana
ma quei pochi metri che restano da percorrere le sembrano chilometri. È quasi
mezzogiorno e non si incontra anima viva. Eccetto un signore in giacca pesante
che passeggia con l’aria stranita e, incurante della canicola, si sofferma a
parlare da solo davanti allo studio che fu di Rosai.
Ma ad un tratto, appena dopo la
curva, sbuca il Forte Belvedere e un’immagine lontana si sovrappone a quella
presente, con una forza che ridesta sensazioni struggenti che Valeria credeva
ormai dimenticate.
Per un solo istante le sembra di
scorgere la figura affannata di Michele, con lo zaino sulle spalle, che le
corre incontro, confondendosi con le lunghe ombre che le chiome d’argento degli
ulivi disegnano sui muri a pietra. E mentre si appoggia a un lampione per
allacciarsi un sandalo, le sembra persino di sentirsi chiamare. Invece l’unica
voce è quella assordante e ossessiva delle cicale, interrotta soltanto dal
rintocco di una campana che si perde fra le colline punteggiate di cipressi.
Il quadro sarebbe davvero
idillico, con quelle macchie di colore che si arrampicano fra le feritoie del
muro, intrecciandosi fra loro: dall’azzurro-lilla del glicine al verde opaco
della vite americana. Eppure Valeria non ha nessuna voglia di contemplare il
paesaggio. Né tantomeno di lasciarsi andare ai ricordi. Per questo affretta il
passo, lasciando che le immagini del passato svaniscano e si confondano fra una
facciata color terra di Siena e un cancello in ferro battuto.
Finalmente ecco la villa di
Fosca, con il muro scrostato e le persiane che avrebbero davvero bisogno della
mano di un falegname volenteroso…
Valeria esita un attimo,
aggiustando nel sacchetto di carta la camelia un po’ appassita che ha comprato
dall’unico fioraio aperto di domenica.
Il suono del campanello la
richiama alla realtà. Sarà meglio che si prepari a sorridere festosa e ad
assumere l’aria dell’ospite che non vede l’ora di festeggiare il
quarantacinquesimo compleanno di Michele. Anche se lui è sparito nel nulla da
più di vent’anni, per sua madre il tempo è come se si fosse fermato.
Valeria è pronta a scommettere
che anche quest’anno avrà fatto preparare il dolce di pasta sfoglia che,
secondo lei, piace tanto a suo figlio. Ad essere sinceri, non ci giurerebbe
affatto che a Michele piacesse la pasta sfoglia. Ma ormai nemmeno questo è più importante.
Quando finalmente si apre il
portoncino e compare Ida, in ciabatte e grembiule della festa, Valeria tira un
sospiro di sollievo. Si manda indietro i capelli con le mani sudate e si
prepara a recitare quella pietosa farsa che si rinnova ogni anno sempre uguale.