sabato 7 giugno 2014

In anteprima l'incipit di "Una storia fiorentina"

Una storia fiorentina
romanzo di Laura Vignali

I

                Valeria parcheggia la Punto grigia nell’unico spazio all’ombra, là dove il viale si allarga in una specie di piazzetta. Appena scesa, avverte subito una vampata di calore umido che le toglie il respiro. Vorrebbe tornare indietro ma sa che non può perché la sua non è solo una visita ma un rito. Un rito che è costretta a officiare da vent’anni, ogni 7 di luglio.
Così, imbocca la via di S. Leonardo, simile ad una biscia lucida e grigia che si snoda fra i muri di cinta che proteggono i giardini delle ville immerse nel silenzio. Ville che sembrano uscite dal pennello inquieto di un macchiaiolo toscano o dalla penna di un dannunziano tardivo affascinato da quell’atmosfera insolita di estatica immobilità.
Ogni volta che si presenta all’appuntamento, Valeria si chiede per quanti anni ancora durerà questa penosa rappresentazione. E si chiede anche se sia giusto continuare ad illudere una vecchia signora, assecondandola nella sua tenera follia.
La villa di Fosca non è lontana ma quei pochi metri che restano da percorrere le sembrano chilometri. È quasi mezzogiorno e non si incontra anima viva. Eccetto un signore in giacca pesante che passeggia con l’aria stranita e, incurante della canicola, si sofferma a parlare da solo davanti allo studio che fu di Rosai.
Ma ad un tratto, appena dopo la curva, sbuca il Forte Belvedere e un’immagine lontana si sovrappone a quella presente, con una forza che ridesta sensazioni struggenti che Valeria credeva ormai dimenticate.
Per un solo istante le sembra di scorgere la figura affannata di Michele, con lo zaino sulle spalle, che le corre incontro, confondendosi con le lunghe ombre che le chiome d’argento degli ulivi disegnano sui muri a pietra. E mentre si appoggia a un lampione per allacciarsi un sandalo, le sembra persino di sentirsi chiamare. Invece l’unica voce è quella assordante e ossessiva delle cicale, interrotta soltanto dal rintocco di una campana che si perde fra le colline punteggiate di cipressi.
Il quadro sarebbe davvero idillico, con quelle macchie di colore che si arrampicano fra le feritoie del muro, intrecciandosi fra loro: dall’azzurro-lilla del glicine al verde opaco della vite americana. Eppure Valeria non ha nessuna voglia di contemplare il paesaggio. Né tantomeno di lasciarsi andare ai ricordi. Per questo affretta il passo, lasciando che le immagini del passato svaniscano e si confondano fra una facciata color terra di Siena e un cancello in ferro battuto.
Finalmente ecco la villa di Fosca, con il muro scrostato e le persiane che avrebbero davvero bisogno della mano di un falegname volenteroso…
Valeria esita un attimo, aggiustando nel sacchetto di carta la camelia un po’ appassita che ha comprato dall’unico fioraio aperto di domenica.
Il suono del campanello la richiama alla realtà. Sarà meglio che si prepari a sorridere festosa e ad assumere l’aria dell’ospite che non vede l’ora di festeggiare il quarantacinquesimo compleanno di Michele. Anche se lui è sparito nel nulla da più di vent’anni, per sua madre il tempo è come se si fosse fermato.
Valeria è pronta a scommettere che anche quest’anno avrà fatto preparare il dolce di pasta sfoglia che, secondo lei, piace tanto a suo figlio. Ad essere sinceri, non ci giurerebbe affatto che a Michele piacesse la pasta sfoglia. Ma ormai nemmeno questo è più importante.

Quando finalmente si apre il portoncino e compare Ida, in ciabatte e grembiule della festa, Valeria tira un sospiro di sollievo. Si manda indietro i capelli con le mani sudate e si prepara a recitare quella pietosa farsa che si rinnova ogni anno sempre uguale.