mercoledì 2 novembre 2022

Una sapiente recensione di Carolina dei Franci che ha colto perfettamente lo spirito de L'ESTATE DI MIMI'

 

La parola chiave di questo romanzo? Nostalgia. Non saprei trovarne un’altra  per definirlo. Ogni romanzo ha secondo me una parola che lo racchiude, così “Berta Isla “ di Marias ha “menzogna”, “Patria” di Aramburu “Perdono”,  Una vita come tante” di Yanagihara “amicizia” e così via. Ecco Nostalgia è la linea sottile che percorre tutto il romanzo, dall’inizio alla fine, anche se non viene mai detto apertamente.

Chi è nato in un luogo e poi  è vissuto in un altro, o chi semplicemente è stato felice in un luogo da cui è dovuto andare via, sa benissimo di cosa parlo. Così Mimì  è calabrese e della sua terra porta dentro impressi i colori, i sapori, i suoni: la sua vita fiorentina si è semplicemente sovrapposta sull’altra, come un velo pronto a sollevarsi al minimo spirare di un  ricordo. Mimì non è un uomo felice: il matrimonio è stato un disastro, la relazione con la collega Marina idem, la figlia è lontana in tutti i sensi anche perché giovane e, giustamente, egoista, il lavoro non lo soddisfa. Il ritorno a San Gregorio è per lui come una terapia del dolore e della disillusione. Si immerge nel paese e, pur nei cambiamenti, ritrova quella parte di sé che a Firenze aveva prima nascosto, per inserirsi, e alla fine un pochino smarrito. Ed ecco che, riappare quasi dal nulla  Ciccina, la bella, intrigante e inarrivabile Franca col suo maglioncino turchese, pronto ad esplodere nell’immaginario dei giovani maschi del paese, tutti  innamorati di lei senza speranza. E poi le ragazze del piano di sopra inconsapevoli, o forse no, del loro potere seduttivo dovuto alla giovinezza prorompente nei confronti di Mimì, che appare ai loro occhi una facile preda. Gli amici del bar della piazza principale  sono poi sempre gli stessi, con qualche capello bianco ma con le solite discussioni e le solite affermazioni sulle donne, sulla politica, sul comportamento  ambiguo di Mimì. In effetti la bella Franca, ora vedova del barone, per togliersi un terribile dubbio, si avvicina pericolosamente al professore che viene salvato, o impedito a seconda dei punti di vista, da una serie di telefonate inattese da parte della moglie e della figlia. Ma è Anna che gli torna in mente, la ragazzina vicina di casa, il suo primo vero amore, o forse l’unico, perché mai concluso. Tornano come da un lago di ricordi gli incontri fugaci e intensi, la scoperta del proprio corpo e di quello dell’altro, tutto  di nascosto alle famiglie. Altri tempi, altra mentalità: se fossero stati scoperti sarebbe stata una tragedia. Poi la partenza e la promessa di vedersi ancora interrotta dalla tragica morte di lei, arrivata come una fucilata in pieno petto perché nessuno poteva immaginare quello che c’era stato tra di loro. E’ qui , in poche  righe che si avverte forte il morso della nostalgia, resa impossibile dalla morte e, forse anche si capisce quell’atteggiamento passivo e privo di speranza di  Mimì davanti all’amore. La zia Felicina, croce e delizia di ogni nipote, lo  cura e lo coccola come fosse ancora un ragazzo  e lo consiglia sempre, anche senza farsene accorgere, tramite la sua cura ossessiva del cibo. Si capisce che al di là di un atteggiamento apparentemente bigotto e ottuso, zia Felicina capisce e comprende del mondo molto più di tante donne, anche più giovani e smaliziate di lei.  E poi, romanzo nel romanzo, c’è un Decamerone declinato in calabrese con le deliziose storie raccontate da  Giannuzzella al professore che ne deve ricavare un libro per l’editore Vescovelli. Sono storie di famiglia, particolari e intriganti, condite dal profumo dei cibi che la Musa di Mimì accompagna ad ogni storia.  Nel leggere questo romanzo ho ripensato alla mia vita in un luogo che ho amato molto  e da cui mi sono dovuta allontanare, ho rivisto le case bianche nel riverbero del sole,  quelle stradine in discesa, quei profumi provenienti dalle cucine delle case allora sempre con le porte aperte per il viandante, e poi in lontananza il mare come una linea azzurra indefinita tra acqua e cielo.

Questa scrittrice ha il dono e la capacità di suscitare tante emozioni, anche contrastanti, che vanno al d là del testo stesso, cosa che non  capita spesso  in altri autori. Mentre in questo libro  si va avanti nella lettura, bisogna fermarsi ogni tanto e guardare lontano e allora , come a Mimì, riaffiorano tanti ricordi di un luogo lontano, di una persona molto amata che, smussati dal tempo, appaiono incredibilmente belli, dolci  e consolatori del presente.