giovedì 4 settembre 2008

RECENSIONE DI LUCA MICHELUCCI

Una ragazza inizia il suo percorso verso casa in una qualsiasi sera parigina, immergendosi fra la folla in attesa della metro. Innervosita dal comportamento della gente attorno a lei, la giovane comincia a dare libero sfogo al flusso dei suoi pensieri, che scorrono rapidi nella sua mente, come quel treno che oltrepassa in velocità le varie fermate. La ragazza rievoca così i vari momenti passati col suo Binot, dal primo incontro ai vari appuntamenti successivi, con continui cambiamenti di tono che sembrano accrescere la tensione verso un epilogo tutto da svelare. In questo percorso interiore la mente si sofferma spesso su scene e particolari riportati con un tono ironico e divertito, che allenta così l’attenzione del lettore dal finale della storia. Il racconto si presenta liberato dalla formula tipica del giallo alla quale la scrittrice ci aveva abituato, per dare libero sfogo a una scrittura più intimista, che segue lo scorrere senza argini dei pensieri di un “io” alla deriva, colto nell’atto di riflettere con estrema lucidità su quanto commesso. Il fascino del racconto è dato dalla splendida ambientazione in questa Parigi notturna, che diventa una città della non-appartenenza, scenario ideale dove lasciarsi disperdere nel buio della notte fra il continuo via vai di macchine, autobus e persone sempre di corsa. La ragazza sembra venire inghiottita dalla corrente dei viaggiatori, il suo volto si mischia a quello di gente spesso ai margini, protagonista di tanti incontri casuali, o alle facce “stralunate” che campeggiano sui manifesti pubblicitari, quasi a chiedersi il perché di tutto quello che li circonda. E’ un viaggio verso il buio, che procede negli abissi della mente come nei meandri sotterranei di un metrò, sempre diretto alla perdita di sé, per lasciarsi alle spalle un gesto che appare tanto terribile quanto naturale. Come la mente della giovane sembra vivere un contrasto di emozioni così la città risponde al buio con tutta una serie di elementi che richiamano la luce e quindi la vita. Parigi si presenta come uno scenario convulso di luci e suoni: i fari delle auto che sfrecciano, le insegne colorate della pubblicità, le musiche agli angoli delle strade, tutto rende l’idea di un labirinto metropolitano che richiama l’animo della ragazza contorto e perduto. Suggestiva è l’immagine finale di quel grattacielo dalle molteplici finestre illuminate come le tante celle di un alveare, tutte attaccate insieme eppure separate. Ognuna di queste contiene un’ esistenza propria, tante vite che convergono ogni giorno nello stesso punto, ma che spesso finiscono per non incontrarsi mai. In fondo fra loro forse c’è chi a casa è già arrivato, e si sente finalmente al riparo dal vortice frenetico di quella vita al di fuori.
Nonostante il desiderio di oblio, dal passato non si può scappare; così dall’alto l’improvviso illuminarsi della Tour Eiffel sembra sancire la colpa di quel gesto commesso. Ogni giudizio però sembra rimanere sospeso, e il dubbio finale sulla possibilità di nascondersi in un’ “oscurità brulicante di luci” diventa così il vero enigma della storia.



Nessun commento: